VIAGGIO NELLE VISCERE DELLA TERRA PER 19 KM

Il nostro viaggio nelle viscere della terra per 19 chilometri
Missione compiuta: in otto giorni trascorsi nelle viscere dell’Abisso Bueno Fonteno, gli speleologi del Progetto Sebino sono riusciti a mappare un nuovo tratto del labirinto sotterraneo, aggiungendo alcune centinaia di metri alle grotte finora conosciute. L’Abisso supera ora ufficialmente i 19 chilometri di sviluppo.
Non è mancata qualche disavventura, dall’infortunio di un componente del gruppo agli ostacoli posti dalle forti piogge.

Nuovo record L’Abisso svela 19 chilometri
Fonteno, speleologi per 8 giorni consecutivi nelle grotte. Le esplorazioni sotterranee tra difficoltà e scoperte «Un ferito e tanta acqua, ma la missione è compiuta»

FONTENO
Fatta anche questa. La settimana passata sotto terra nei meandri dell’Abisso Bueno Fonteno ha dato i suoi frutti: ora le grotte, i cunicoli e gli spazi conosciuti che si espandono fra il lago d’Iseo e il lago di Endine hanno uno sviluppo complessivo che supera i 19 chilometri. Il traguardo è stato raggiunto dagli speleologi del Progetto Sebino che per otto giorni, da sabato 23 a luglio fino a ieri, sono rimasti all’interno della grotta più grande della Bergamasca, mappando un altro pezzo di questo labirinto sotterraneo e aggiungendo qualche centinaia di metri in più alle grotte finora conosciute.

All’interno dell’Abisso si sono alternati diversi speleologi, novelli esploratori a metà strada fra Marco Polo e Indiana Jones: il giorno della partenza si sono calati in una decina ma uno di loro ha subito un leggero infortunio, lussandosi una spalla, e per questo è dovuto uscire anzitempo aiutato da altri amici che hanno così rinunciato alla missione. A metà settimana poi c’è stato un cambio: alcuni sono riemersi dall’abisso mentre altri sono entrati al loro posto.

Chi è rimasto per otto giorni consecutivi dentro l’abisso è Max Pozzo, uno dei responsabili del Progetto Sebino, che abbiamo raggiunto ieri pomeriggio in un bar di Fonteno subito dopo l’uscita degli speleologi dalla grotta. Come ogni sportivo che al termine di una competizione deve rifornirsi di proteine, Max ha brindato alla buona riuscita dell’esplorazione insieme ai suoi compagni di avventura con un bel boccale di birra.
«È andata bene – esordisce – finalmente abbiamo mappato, segnato e verificato nuove grotte e nuovi collegamenti all’interno della grotta e con quello che abbiamo scoperto in questi giorni l’Abisso Bueno Fonteno supera ufficialmente i 19 chilometri di sviluppo». L’esplorazione però è stata fortemente limitata da due fattori, entrambi imprevedibili: «Il primo – spiega Pozzo – è l’infortunio del nostro amico che ha dovuto tornare indietro già il primo giorno. Questo ha tolto forze al gruppo e noi che siamo rimasti dentro abbiamo dovuto trasportare anche il materiale di chi era già uscito. L’altro aspetto, che non è mai gestibile, è la variabile meteorologica».
Difficile pensare che anche sotto terramci si accorga se piove o meno, ma è proprio così: «Senza vedere quel che succedeva fuori – prosegue – abbiamo capito che questa settimana ha piovuto molto, specie all’inizio, perché abbiamo dovuto superare diverse piene.
Se piove, infatti, nella grotta confluiscono valli e torrenti che riversano una quantità esagerata di acqua.
Così raggiungere anche posti già esplorati è stato più difficile del solito perché ad esempio per superare salti e cascate bisognava aspettare che passasse l’ondata di piena».

Nonostante queste difficoltà gli otto giorni passati nell’abisso sotto Fonteno hanno avuto anche un’altra ricaduta positiva. «Mentre eravamo giù – aggiunge ancora Pozzo – abbiamo eseguito diversi esperimenti idraulici per conoscere meglio i corsi d’acqua che hanno scavato questo immenso sistema carsico.
Abbiamo versato dei traccianti colorati nei torrenti: corsi d’acqua che pensavamo andassero da una certa parte prendono invece altre direzioni e tutto questo aumenta il fascino di questa immensa grotta».
Gli speleologi del Progetto Sebino hanno fotografato e filmato le nuove parti della grotta esplorata in questi giorni. Tutto il materiale viene messo a disposizione dei vari partner scientifici (Università e musei) e delle istituzioni che sostengono la loro attività.

«Senza orologi si segue il ritmo del corpo»
«Sono dimagrito quattro o cinque chili: là sotto sudi e ti muovi tutto il tempo, arrampicando e trasportando decine di chili di materiale. Tutto quel che mangi lo consumi subito».
Max Pozzo e i suoi amici sono riemersi dall’Abisso Bueno Fonteno ieri verso le 15; ad attenderli, nella valletta a Fonteno che conduce all’ingresso della grotta, c’erano tanti amici che condividono la stessa passione per la speleologia. A loro Max ha potuto raccontare anche la sua settimana «particolarissima» perché oltre a soggiornare sotto terra è passata senza avere mai un orologio come riferimento. «È una sfida in più che mi sono dato – spiega Max, che di solito sta dietro uno sportello di banca – perché volevo mettermi alla prova in condizioni più estreme del solito. Devo dire che vivere senza orologio non è affatto male: sei letteralmente fuori dal tempo e mi sentivo molto più rilassato e mi muovevo seguendo il ritmo del mio corpo. Credo d’aver fatto in media un pasto abbondante ogni 24 ore e non saprei dire se ho dormito mentre fuori era giorno o notte». Una volta fuori, Max ha dovuto subito riprendere contatto con la realtà quotidiana.

La magia della miniera nelle antiche lampade

SCHILPARIO
ALICE BASSANESI
Ogni anno alla miniera Gaffione di Schilpario si ritrovano collezionisti e appassionati per l’unica convention mineraria esistente in Italia. Sono stati loro a dar vita nel fine settimana ad «Antiche luci», la mostra-scambio di lampade, minerali e attrezzi da miniera che è giunta alla sua ottava edizione.
«Quest’anno – spiega Anselmo Agoni, della Ski-Mine, la società che gestisce la miniera di Gaffione (e non solo) e che organizza la manifestazione – abbiamo avuto quindici espositori da tutta Italia, addirittura appassionati che sono venuti da Roma appositamente per quest’appuntamento». Durante la convention si possono trovare articoli di ogni genere, ma forse quelli che colpiscono di più i visitatori e che sono più legati alla cultura mineraria sono le lampade. E proprio dalle lampade è nata la passione per la miniera di molti degli espositori che si sono dati appuntamento a Schilpario. Per Agoni la lampada «preferita» è un lume ad olio che risale al 1800 e viene chiamato «otto punte» per via della sua particolare forma: «Era una di quelle lampade che veniva usata dai capi miniera – sottolinea – e infatti ha delle decorazioni particolari».

«Una cultura da far conoscere»
A Schilpario è arrivato anche Giuseppe Croce, di Milano. Perito minerario, ha scoperto le lampade recandosi in Romania per un sopralluogo legato alla propria attività lavorativa. «Era il 1970 – racconta – e proprio in Romania ho scoperto le lampade di sicurezza delle miniere da carbone. Me ne regalarono una. In un viaggio in Inghilterra, poi, ne trovai un’altra, e la portai a casa come souvenir». «Oggi ne ho almeno 650 – aggiunge Croce –. Non mi limito a collezionarle, ma cerco anche di far conoscere la mia passione alla gente. Lo faccio portando le mie lampade in giro per l’Italia: ho fatto 15 mostre fino ad ora, a Milano, Torino, ma sono stato anche all’estero, in Croazia. Un paio d’anni fa ho anche scritto un libro di cui ho venduto circa 2.200 copie, che si intitola “Breve storia delle lampade da minatore”. È un modo per tramandare una cultura che sta scomparendo». C’è anche Francesco Allieri, di Gorlago, che si è avvicinato al mondo delle lampade perché voleva «scoprire tutto quello che è legato al funzionamento delle lampade a carburo. La mia preferita è una che risale al 1905, e che è anche stata pubblicata nei cataloghi, ma nella mia collezione ne ho almeno 800». Nel corso della manifestazione è stata proposta anche la proiezione delle videointerviste di Anselmo Maj e Andrea Spada, presentate dal professor Angelo Bendotti.

Un viaggio di 1.684 metri nel tunnel di Valzurio
Un tunnel scavato nella roccia, che taglia la montagna da parte a parte e che negli anni passati era utilizzato per il rifornimento d’acqua o come via di collegamento tra due paesi altrimenti separati da una cresta di monti: continua anche oggi ad affascinare la storia della galleria che unisce Rovetta a Valzurio.
Ed è proprio per far rivivere il suo fascino che la Squadra antincendio di Rovetta (Sar) ha deciso di proporre anche quest’anno, a luglio e ad agosto, le visite guidate: passeggiate di circa due ore per ripercorrere i 1.684 metri di tunnel nel monte Blum, e con essi tutta la sua storia. «La galleria esercita una certa attrazione non solo sui turisti, ma anche sugli stessi rovettesi – spiega Giuseppe Visinoni, capo della Squadra antincendio di Rovetta –: molti ne hanno sempre sentito parlare, ma non hanno mai avuto modo di visitarla. Dagli anni Sessanta non è infatti stata più accessibile per motivi di sicurezza ed è solo da qualche anno che siamo riusciti a riaprirla».
Il tunnel, costruito negli anni Trenta, serviva e serve tuttora per rifornire i paesi dell’altopiano rovettese di acqua potabile, proveniente dalla sorgente in località Spinelli di Valzurio. Una funzione tecnica alla quale poi se ne è aggiunta una più sociale: la galleria era infatti aperta a tutti e, data la comodità di un tragitto quasi completamente rettilineo, veniva utilizzata per trasportare la legna o per raggiungere più agevolmente le «morose», cioè le fidanzate, che abitavano nell’altra vallata.
La Sar ha avuto negli ultimi anni un ruolo fondamentale nella messa in sicurezza del sentiero che conduce al tunnel e nella sua valorizzazione tramite l’organizzazione di numerose visite guidate: dopo quella del 23 luglio, per quest’estate ne sono previste due per il 6 e il 13 agosto, ma non è escluso che se ne organizzino altre. «Si tratta – continua Visinoni – di un’escursione affascinante dal punto di vista storico e geologico, è possibile vedere tutta la successione sedimentaria e le rocce che compongono le nostre montagne». Le visite si effettuano in gruppi di massimo 15 persone e ogni partecipante deve attrezzarsi con stivali di gomma al ginocchio e giacca a vento, mentre le iscrizioni (obbligatorie) sono da effettuarsi presso la Pro loco di Rovetta. Il costo è di 5 euro e si parte alle 14 da via del Lò, al civico 54.

Erica Balduzzi
L’Eco di Bergamo.